Gianmarco Tamberi ha vinto l’oro nel salto in alto ai Mondiali di atletica di Budapest.
L’azzurro ha superato la misura di 2,36 metri.
Argento allo statunitense JuVaughn Harrison. Il qatariota Mutaz Essa Barshim si è aggiudicato il bronzo. Per l’Italia è la terza medaglia, la prima d’oro, nella rassegna in corso in Ungheria.
Per l’atleta marchigiano il titolo di campione del mondo è il compimento di una carriera sportiva straordinaria dopo l’oro olimpico, la vittoria dei campionati del mondo indoor e di due titoli europei.
La prima volta di Tamberi a livello iridato arriva dopo il brivido nelle qualificazioni e un errore a 2.25m, che non compromette la sua gara: l’azzurro fa poi percorso netto fino a 2.36m, superati al primo tentativo.
Tamberi entra definitivamente nella leggenda dello sport italiano mettendo in bacheca l’unica medaglia d’oro che mancava alla sua collezione.
L’anconetano delle Fiamme Oro completa il Grande Slam dopo aver già trionfato alle Olimpiadi (Tokyo 2021) e ai Mondiali indoor (Portland 2016) oltre che agli Europei all’aperto (Amsterdam 2016 e Monaco 2022) e in sala (Glasgow 2019).
È pazzesco, è una sensazione indescrivibile. Non riesco a sentirmi dire che sono campione di tutto. Sono stato ripagato di tutti i sacrifici fatti. Dico grazie a tutte le persone che mi hanno aiutato. Mi sento un essere umano che batte i supereroi”. Grande gioia per Gianmarco Tamberi dopo la conquista dell’oro mondiale nell’alto. “Ho fatto un grande riscaldamento, uno dei migliori della mia vita – ha proseguito Gimbo – Sono riuscito a restare concentrato, esternando le mie sensazioni. Il mio segreto è essere me stesso in pedana. Ha funzionato. In tanti avevano dubbi sul cambio di coach, l’oro è merito anche di mio padre”.
LE PAROLE E LA FELICITA’ DI TAMBERI
“Conoscevo gli avversari, sapevo che poteva servire più di 2,38 per vincere. Ho cercato di essere me stesso in pedana, di rimanere concentrato e a 2,36 mi sono reso conto che era un possibile match point.
Se c’è un’opportunità, devi mettercela tutta.
Mi sento ripagato di tutti i sacrifici fatti, so quanto ho investito nel mio team e questo non è uno sport individuale, se c’è un lavoro di squadra che richiede tanta dedizione”,
“Quando si cambia guida tecnica dopo dodici anni si esce dalla comfort zone e la paura è tanta, mi sono caricato di tante responsabilità.
Mio padre mi ha insegnato a saltare, quello che ho fatto oggi è anche grazie al percorso condotto insieme a lui.
Non è stato facile separarmi da lui, digerire un cambiamento del genere, non ci parliamo da tanto tempo ma è merito anche di quello che mi ha insegnato.
Devo ringraziare Giulio Ciotti e Michele Palloni per come si sono approcciati a questa nuova sfida, un team affiatatissimo”.
Articolo a cura di Stefano Ghezzi – Sportpress24.com
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