Milan, da Tonali a Maldini, passando per Ibra: quando il denaro batte la fede

Un sistema di mercato che più va avanti e più vede la fede arretrare nelle gerarchie, rispetto al valore del denaro. E qualcosa ne sa il Milan, compresi di conseguenza i suoi tifosi, i primi a rimetterci in situazioni simili. Per un sostenitore, infatti, è divenuto ormai difficile concentrare la passione verso un determinato idolo calcistico.

Le motivazioni sono molteplici e sempre le stesse ma con il passar degli anni, ha visto in loro un notevole incremento, riunitosi in un’unica concezione: risparmiare dal punto di vista dell’attaccamento alla maglia e guadagnare a livello economico, al di là se la decisione venga accettata o meno dalla tifoseria. Risanare debiti presenti od arricchire il proprio patrimonio, queste sono le due ramificazioni cui si divide tale visione, con la seconda che ha ricoperto nelle ultime settimane il ruolo di protagonista in casa rossonera.

Un mondo che riflette sulla differenza tra il calcio di allora e quello attuale. I giocatori cambiano, così come le dirigenze e di pari passo, anche i presidenti. Si tratta di un’evoluzione, che poi se possa essere negativa o positiva, è soltanto il tempo in grado di stabilire ciò. Quel che però è certo, è che stiamo parlando comunque di un tipo atteggiamento egoistico, che con sé porta effetti dannosi a chi ama questo sport.

MILAN, QUANTA RIVOLUZIONE!

Sin troppo risaputo che ad oggi il soldo sconfigga 3-0 la passione. Non si fanno più scrupoli nel cedere o meno un perno umanamente di rilievo all’interno di una compagine. Il Milan e la sua recente rivoluzione, con la presidenza americana al comando, è il migliore esempio che si possa fare.

L’obiettivo primario è beneficiare di entrate notevoli, come i 70 milioni di euro provenienti dal trasferimento di Sandro Tonali al Newcastle oppure evitare ingaggi esosi, come i 2 milioni di contratto di Paolo Maldini o quegli altri che potenzialmente si sarebbero potuti spendere per un ruolo in società affidato a Zlatan Ibrahimovic. Tutti e tre, aventi cariche differenti ma accomunati dallo stesso epilogo: la separazione dal primo club di Milano.

Se la partenza dell’ex Brescia ha portato la perdita di un altro pezzo di quello spogliatoio che ha contribuito alle vittorie e alle ultime soddisfazioni, quella dell’atleta svedese o dello storico difensore italiano, non sono state di certo da meno. Quest’ultimo, anche se non scendeva in campo già da svariati anni, ricopriva una figura fondamentale ovvero quella del dirigente. Di per sé significativa, perlopiù se assunta da una leggenda che ha concorso a scrivere per molto tempo una storia sportiva, che avrebbe potuto far assimilare – ad un gruppo giovane come quello di mister Stefano Pioli – solamente ambizione ed esperienza.

Articolo a cura di Alessio Giordano – SportPress24.com

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