Parli di Parma-Lazio e la mente va a quella serata fredda del 17 gennaio 1999 in cui il calcio mondiale si inchina ad una prodezza dal sapore sublime.
La gara tra emiliani e laziali è uno scontro al vertice, una di quelle gare che segnano un campionato. La cornice di pubblico è da anfiteatro romano. I tifosi laziali al seguito, più di 3.000, sono all’inseguimento di un sogno, lo scudetto.
Ma tutte queste note di dettaglio sono appunto dettagli di fronte a quello che capiterà nel corso della battaglia. Non è la rivisitazione di una partita, non è il risultato, non è la summa di episodi che determinano chi vince e chi perde che contano. Parma-Lazio è la descrizione di un attimo.
Un attimo fuggente, un attimo eterno che incanta tutti i presenti e che rappresenterà lo spot più iconico per definire cos’è il calcio. Veniamo a questa descrizione, troppo modesta per la bellezza del gesto, di un attimo perché la felicità è in pochi frazioni di secondo. Calcio d’angolo per la Lazio.
Si avvicina alla bandierina lo specialista Mihajlovic. Proprio sotto il settore dei 3.000 laziali che strepitano. Daje Sinisa. Il mancino serbo calcia. La palla si libra in aria alla ricerca di qualcuno. Si avvicina ad essa un numero 10, di nome Roberto e di cognome Mancini.
È un ballerino leggiadro. Da’ le sue spalle alla porta per trovare la coordinazione giusta per unire il suo tacco fatato alla docile palla che nulla vuole se non unirsi a quel tacco. Nugolo di avversari che tentano di interrompere l’attimo. Uomo sul primo palo e Buffon in porta. Ma è tutto scritto nel logos del calcio.
Il tacco al volo, un gesto così naturale e così estatico, è storia. La palla felice di continuare la sua corsa va a ficcarsi proprio nel sette alla destra del portierone emiliano, anch’esso esterrefatto. “Ma che hai fatto Mancio”, le parole di Vieri che va incontro a Mancini. Già cosa hai fatto.
Semplicemente il gol più bello della storia del calcio. Tutto il resto è prosa.
La poesia è già stata declamata.